“Occorre avviare una fase di studio sulla fibromialgia che colpisce circa 120.000 persone nel Lazio, favorendo la sperimentazione di un percorso diagnostico terapeutico, che a partire dall’Asl di Viterbo, ‘pioniera’ nella presa in carico e nella tutela di questo tipo di malati, si possa magari estendere alle altre aziende sanitarie della regione”. Giuseppe Simeone, consigliere di Forza Italia e presidente della commissione Sanità, politiche sociali, integrazione sociosanitaria e welfare della Regione Lazio è intervenuto a margine dell’audizione odierna sul tema della fibromialgia. “Abbiamo ascoltato oggi in audizione i rappresentanti dell’Associazione Fibromialgici ‘Libellula Libera’ di Viterbo che considerano la fibromialgia come malattia invalidante -prosegue Simeone- di certo possiamo definirla una malattia ‘fantasma’, ben distinguibile da chi la subisce ma invisibile dal servizio sanitario nazionale, e anche a molti medici che non riescono a definire un quadro unico e interdisciplinare rispetto alle sintomatologie presentate dal paziente. E’ in atto un confronto istituzionale per il riconoscimento formale della malattia da parte del servizio sanitario nazionale; studi clinici spingono in tal senso, e molte strutture sanitarie si stanno attrezzando con specifici protocolli e servizi destinati ai pazienti. Per anni, infatti, i sintomi di questa malattia, spesso altamente invalidante, sono stati derubricati a segnali di altre singole patologie, a volte neanche classificati oltre al generico ‘malessere’.
In realtà si tratta di una sindrome caratterizzata da un dolore muscoloscheletrico cronico diffuso, stanchezza frequente, con cefalea e sonno di bassa qualità che colpisce circa 2-2,5 milioni di italiani, di cui appunto 120.000 nel Lazio. Numeri che testimoniano come si sia in presenza di una malattia (non proprio rara) cronica e invalidante. Basti pensare che il 10/15% delle visite specialistiche in ambulatorio reumatologico sono erogate per pazienti con questa sindrome. Non va quindi dimenticato che la malattia ha un rapporto uomo/donna di 1/3 e può osservarsi ad ogni età, compresa l’infanzia.
Sul piano normativo la situazione è in evoluzione. Almeno per adesso nel Lazio la sindrome non è compresa nei Livelli essenziali di assistenza (LEA). Ad ogni modo, in attesa di una normativa nazionale e della conclusione del processo di valutazione sul riconoscimento della malattia ancora in corso al Ministero della Salute, l’associazione di Viterbo, ‘Libellula Libera’ ha chiesto alla Regione Lazio di attivare urgentemente un percorso diagnostico con l’Asl di Viterbo nel ruolo di capofila, il potenziamento della formazione del personale medico e l’istituzione di un apposito registro regionale. Da parte mia ho avanzato la richiesta al dirigente della struttura competente della Direzione regionale Salute e Integrazione sociosanitaria, di poter avviare questo percorso, che da Viterbo potrebbe essere preso come riferimento per tutto il Lazio, non appena le norme lo consentiranno”.