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Il museo Piana delle Orme di Borgo Faiti pronto a ripartire il 18 maggio

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Dal 18 maggio il museo riaprirà! L’annuncio arriva direttamente dagli operatori della struttura museale di Borgo Faiti a Latina, che in vista della imminente ripartenza delle attività, analizzano il periodo difficile appena trascorso e le novità che caratterizzeranno le prossime settimane – Colpito e ferito da questo ‘carogna virus’, così come lo sono state tante altre attività anche a Piana delle Orme niente sarà come prima, dovremo garantire le distanze e tutte le indicazioni previste nei decreti ministeriali, ma le storie che questa immaginifica astronave ha sino ad ora saputo conservare per voi tutti sono di nuovo fruibili. Una pausa, per riflettere e riscoprirci, nell’incanto di suoni e profumi di una natura che nel frattempo non si è fermata, ma è più rigogliosa che mai.

Dopo lo stop imposto dalla pandemia

Ci eravamo lasciati il 9 marzo scorso. I ragazzi delle scuole avevano appena iniziato i loro viaggi d’istruzione, una pacifica, allegra e vociante invasione dopo i lunghi mesi invernali. Come ad ogni primavera, il museo era pronto a rinascere. Prati ben rasati, alberi in piena fioritura e, soprattutto nuove proposte didattiche per le scuole di ogni ordine e grado. E poi, i gruppi organizzati e le tante famiglie che eravamo pronti ad accogliere. Tutte categorie di un turismo consapevole, attento ed interessato alle specificità culturali del museo, una realtà effettiva e pienamente realizzata del nostro territorio.

Piana delle Orme, luogo dello stupore e della socievolezza, accessibile e seducente, un museo che ha sempre cercato di stimolare un legame affettivo tra giovani e anziani, quel legame tra generazioni, importante e necessario, che l’epidemia del Covid-19 ha drammaticamente posto in primo piano. In questo senso, ora più che mai, i percorsi del museo possono offrire nuovi spunti di riflessione sul presente e sulla necessità di non considerare mai il passato come cosa morta.

Il Covid-19 lo abbiamo affrontato come la nostra ultima guerra, impreparati e disarmati. Al fronte, in prima linea i medici e gli infermieri, gli operatori sanitari, l’Esercito, la Protezione Civile e quanti hanno saputo garantirci i servizi essenziali. Esulati nelle nostre case, con un senso di irrealtà, ci siamo protetti da un nemico imprevedibile quanto spaventoso. Abbiamo visto tanti, troppi figli piangere i loro anziani senza il conforto di un ultimo saluto, caduti senza uniforme su campi di battaglia del tutto inediti. I mezzi di comunicazione, le nostre ‘radio Londra’ ci hanno informati sugli esiti quotidiani delle battaglie combattute nei vari teatri di guerra. Non tutti hanno scelto la via della verità, dei titoli ad effetto. L’atavica paura della fame, lascito inconscio del passato, ci ha fatto correre nei supermercati, nati negli anni del ‘miracolo economico’ quando per gli italiani cambiò il rapporto con le merci e con il cibo e iniziò l’epoca dello spreco.

La storia che si ripete e che ci insegna a rialzarci

Come può, dunque, aiutarci il museo se non a capire che da sempre abbiamo dovuto confrontarci con epidemie e crisi dalle quali siamo usciti non solo grazie all’aiuto della scienza, ma adottando comportamenti corretti e, soprattutto, ritrovando la forza di ricominciare. La malaria, tra ‘800 e ‘900 rappresentava uno dei problemi maggiori per il nostro Paese. Un problema sanitario, ma anche sociale ed economico per le popolazioni agricole delle regioni del Centro Sud e delle isole. Medici e infermieri si addentravano nei villaggi di capanne dei terreni paludosi per distribuire il chinino e assistere i malati, insegnando a quelle povere popolazioni quali comportamenti di protezione meccanica e sociale adottare per evitare il contatto con la zanzara anopheles.

Dovremo ora ricostruire le nostre vite, questa volta non sulle macerie, le devastazioni e le miserie lasciate da una guerra. Ci siamo accorti di aver basato le nostre esistenze su certezze e valori effimeri, spazzati via in poco più di due mesi. Ci siamo scoperti insicuri e spaesati. Queste sono le nostre macerie. Su questo vuoto di vite tragicamente spezzate, di consapevolezza della nostra fragilità, dovremo rimodulare il nostro rapporto con la natura e con gli altri, impegnandoci a realizzare cose durature e tangibili, come seppero fare i nostri nonni.

 

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