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Gli allenatori più integralisti del terzo millennio

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Sempre più spesso nel calcio di oggi ci si chiede se un allenatore possa cambiare idea rispetto al proprio credo tattico preferito. Pirlo, ad esempio, era partito con l’idea di attuare un 4-3-3 nella Juventus, ma ha finito subito col virare verso un 3-4-1-2. La difesa a 3, d’altronde, aveva già prodotto buoni risultati in bianconero, prima con Conte e poi con Allegri. Ancor prima di loro fu Walter Mazzarri, durante l’esperienza napoletana, a dimostrare che si potesse fare bene anche con un modulo fra i più contestati.

L’ex tecnico azzurro, però, poteva essere considerato il più integralista fra tutti: alcuni giocatori partenopei persero delle buone chance in Nazionale, non giocando mai con una retroguardia a 4. La difesa a 3 di Mazzarri era diventata un segno di riconoscimento del Napoli e fruttò a Cannavaro & co. il primo trofeo dopo l’era di Maradona. Maurizio Sarri, invece, non ha mai mancato di spiegare che le individualità che si hanno disposizione devono essere sfruttate nell’interesse del collettivo, ma la continua ricerca del bel gioco l’hanno portato al massimo a trasformare un 4-3-3 in un 4-3-1-2.

Chi oggi crede molto nella difesa a 3 fra gli allenatori delle big italiane è ancora Antonio Conte. La massima espressione, sicuramente, è stata la “BBC” composta da Barzagli, Bonucci e Chiellini proposta ai tempi della Juve. Secondo molti addetti ai lavori, però, il modulo più equilibrato è il 4-4-2, di cui è stato maestro Carlo Ancelotti, soprattutto al Milan, quando variava un centrocampo ordinario con uno schieramento a rombo. Una serie di scelte tattiche azzeccate che lo portarono a vincere due Champions, mentre a Napoli, clamorosamente, non è arrivato nessun trofeo.

La verità, alla fin fine, è che ogni modulo ha i suoi pregi e i suoi difetti, come nel caso del 4-2-4 del buon vecchio Gian Piero Ventura. Una sorta di alternativa più offensiva del 4-4-2 classico, anch’essa vista qualche anno fa con Conte. L’ex ct non ha rinunciato ad andare all’arrembaggio nemmeno nelle gare sulla carta più complicate, come quella contro la Spagna che compromise il cammino della Nazionale azzurra verso i Mondiali del 2018. Certo, niente a che vedere con il presunto 2-7-2 di Thiago Motta, un modulo nel quale il portiere doveva contare come centrocampista per favorire e sveltire lo sviluppo della manovra. Per l’ex Genoa questa idea poteva essere alla base del futuro del calcio, ma alla sua prima vera esperienza da allenatore l’italo-brasiliano ha ottenuto solo 2 vittorie, venendo esonerato dopo solo due mesi.

Se c’è qualcuno che ha fatto del modulo il proprio marchio di fabbrica, però, è sicuramente “El Loco” Bielsa, considerato uno degli innovatori del calcio moderno. Il suo 3-3-1-3 con la variante del 3-3-3-1 ha fatto storia in Argentina e in Cile, oltre che nell’Athletic Bilbao e nell’Olympique Marsiglia. Le squadre di Bielsa sono note per permettere rapidi capovolgimenti di fronte, grazie a calciatori in grado di interpretare al meglio le due fasi e di stabilire la superiorità numerica in ogni parte del campo, difendendo o attaccando con 7 uomini o mantenendo il risultato con 6 giocatori a centrocampo. Una filosofia di gioco che, per quanto curiosa, ha fatto proseliti: ne sono testimoni Gerardo Martino, Mauricio Pochettino e Marcelo Gallardo, ad esempio. In ogni caso le curiosità su Marcelo “El Loco” Bielsa non si limitano alla tattica: il tecnico è conosciuto anche per la visione e la raccolta di numerosi video di calcio, con i quali analizza e studia ogni singolo giocatore, utilizzando software statistici e altri strumenti tecnologici non sempre presenti negli altri centri sportivi. Di recente il mister ha riportato il Leeds in Premier dopo quasi 20 anni dall’ultima volta. Se quello sugli allenatori integralisti non è solo un luogo comune è anche grazie a lui.

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