Come è noto i rifiuti derivanti da attività agricole e agro-industriali, e relative pertinenze, sono stati classificati come rifiuti speciali già dal 1987, e tale classificazione permane tutt’oggi (art. 10-bis della legge 441/1987: “… debbono essere considerati rifiuti speciali, a tutti gli effetti, quelli derivanti dall’esercizio dell’impresa agricola sul fondo e relative pertinenze” e successivamente con l’articolo 184, comma 3, lettera a) del Testo Unico Ambientale (TUA), D. Lgs. 152/2006, che definisce rifiuti speciali “i rifiuti prodotti nell’ambito delle attività agricole, agro-industriali e della silvicoltura, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2135 del codice civile, e della pesca”); quindi tali attività, non producendo rifiuti solidi urbani, ma appunto speciali, non sono soggette al pagamento della TARI, bensì allo smaltimento in proprio, tramite aziende specializzate, assumendosene gli elevati costi. A confermare la ferrea volontà del legislatore su questa linea, contribuisce anche l’allegato L-quinquies, del citato TUA, che ribadisce che rimangono escluse dalle attività che producono rifiuti quelle agricole, e connesse, di cui all’articolo 2135 del codice civile. Ultimamente, ad ulteriore conferma che le aziende agricole producono rifiuti speciali, è intervenuto il D.Lgs.116/2020 del 3/9/2020.
I fabbricati rurali, edifici destinati a supportare le attività agricole, sono considerati parte integrante di un’azienda agraria e non soggetti al pagamento della TARI. Individuare questi edifici è semplice, sono stati classificati con la categoria catastale D/10 (strumentali).
Recentemente sono stati recapitati, a molti concittadini che gestiscono attività agricole, degli avvisi di accertamento / ingiunzioni di pagamento, alcuni di importi che superano i 450.000 €, per la tariffa sui rifiuti urbani non pagata relativamente a dei fabbricati rurali quindi, non soggetti a TARI.
“Non ci rendiamo conto di come si sia potuti arrivare a ciò, – commentano i 5 Stelle di Aprilia – quando, per non trattare quei coltivatori diretti come degli evasori, sarebbe bastata una semplice visura catastale per accertare la strumentalità degli immobili oggetto delle contestazioni comunali senza far loro rischiare un malore alla richiesta di cifre così esorbitanti (una signora anziana della provincia di Imperia, è stata colta proprio da malore a causa di una maxi bolletta dell’acqua di 15.000 €, rivelatasi poi errata, la signora, dopo 15 giorni di ricovero ospedaliero, alla vigilia di Natale, purtroppo è deceduta). Il compito di effettuare le visure catastali, per accertare che i fabbricati oggetto degli accertamenti inviati fossero effettivamente assoggettabili al pagamento della TARI, spettava alla Società Geropa – MT S.p.A., che in seno all’Ufficio tributi, gestisce l’attività di recupero dell’evasione e dell’elusione delle entrate tributarie e patrimoniali, al costo di circa € 2.200.000,00 per 5 anni, dal 2022. La Società, stando a quanto asserito dal Sindaco durante l’ultimo Consiglio comunale, almeno sui presunti evasori totali, le visure le avrebbe fatte; e allora, non si sono accorti che la categoria catastale era D/10?
Durante la seduta dell’ultimo Consiglio comunale, dedicato anche a questo argomento, l’assessore Stampatore ha asserito che se i coltivatori hanno omesso di presentare la dichiarazione iniziale, gli uffici comunali non hanno modo di sapere quale attività viene svolta nel fabbricato; quindi spetterebbe al cittadino dimostrare con un’autocertificazione, da presentare ex-ante, ciò che già si sarebbe evinto dalla visura? E la famosa categoria catastale D/10 che esce dalla visura, non ha valore? L’autocertificazione, o dichiarazione TARI, viene richiesta, ai sensi dell’art. 1, c. 684, della legge 147/2013 che stabilisce che “i soggetti passivi dei tributi presentano la dichiarazione … del possesso o della detenzione dei locali e delle aree assoggettabili al tributo”, ma, al comma 649, della stessa norma, si stabilisce che “nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente” inoltre al comma 641 che “Il presupposto della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani” quindi, sembrerebbe che chi per legge non è assoggettato al tributo non debba presentare la dichiarazione, ma il dubbio lo lasciamo sciogliere a chi è più esperto di noi. Ci chiediamo, altresì, se al Comune non potrebbe bastare chiedere a quegli agricoltori, e alle altre categorie esentate dal pagamento della tassa, concedendo appuntamenti prioritari all’Ufficio tributi, la prova dello smaltimento dei rifiuti speciali prodotti, da parte di una società autorizzata, come indicato dal citato comma 649, e stralciare in autotutela le cartelle recapitate piuttosto che avviare macchinose procedure come l’attivazione di una mail che allunga ulteriormente i tempi di soluzione della vicenda d’altronde, sempre il Comune, tramite la Progetto Ambiente dovrebbe essere a conoscenza che i rifiuti di quelle aziende non sono mai stati ritirati e smaltiti.
In conclusione siamo rimasti sorpresi dalla inusuale soluzione al problema, non partecipata al Consiglio ma efficace, che sarebbe stata messa in campo dal consigliere De Luca, che avrebbe fatto da intermediario tra alcuni agricoltori e gli uffici comunali i quali si sarebbero così visti ridurre la sanzione anche da 250.000 a 7.000 €. Suggeriremmo, oltre alla pubblicazione sul sito istituzionale dell’indirizzo email creato ad hoc su decisione del Consiglio, anche del recapito del consigliere in modo da permettere anche a chi non lo conosce personalmente di rintracciarlo, e ci piacerebbe sapere come sia riuscito a far abbattere un avviso di accertamento / ingiunzione di pagamento di più del 97%; ma il dirigente che dice in proposito?”