Scritto da Samuel Beckett tra la fine del 1948 e l’inizio del ’49, Aspettando Godot torna in scena in un nuovo allestimento diretto da Maurizio Scaparro, con Antonio Salines, Luciano Virgilio, Edoardo Siravo, al Teatro Moderno di Latina, nell’ambito della stagione teatrale promossa da ATCL – Associazione Teatrale fra i Comuni del Lazio con il finanziamento del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Regione Lazio e del Comune di Latina, giovedì 9 maggio ore 21.
L’infinita e vana attesa di Vladimiro-Didi ed Estragone-Gogo è diventata l’emblema della condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo, minuscolo e insignificante organismo nella vastità di un cosmo ostile e incomprensibile, segnato fin dalla nascita: «partoriscono a cavallo di una tomba, il giorno splende un istante, ed è subito notte», dice Pozzo.
«Sento la responsabilità, il peso e l’emozione di mettere in scena per la prima volta un testo di Samuel Beckett e in particolare Aspettando Godot. Questo testo, che rileggo oggi, mi colpisce anzitutto per le sue radici collegate alla millenaria e senza confini Cultura Europea, che noi stiamo colpevolmente dimenticando» spiega il regista Maurizio Scaparro. «Beckett è certamente tra i primi nel Novecento a intuire che, nel mondo attuale, lo spazio per la tragedia si è fatto minimo, entra di nascosto, quasi sotto il velo del gioco, usa toni leggeri e punta talvolta anche al riso. Mi piace ricordare che per più di cinquanta anni Beckett ha vissuto nel quartiere operaio di Montparnasse (e che dal ’40 al ’45 ha avuto un ruolo attivo nella resistenza francese). I suoi compagni d’avventura in quel periodo erano, tra gli altri, anzitutto James Joyce (l’ironia del linguaggio di Beckett nasce anche da questo incontro), Giacometti e Buster Keaton. Nicola Chiaromonte notava che il fascino dei due atti di Beckett sta nella precisione con cui sono unite due situazioni ugualmente familiari per l’Homo Europeus: la difficoltà di credere nella sensatezza dei gesti quotidiani e la parallela difficoltà di credere nell’avvenire collettivo, «lo sconforto di Didi e Gogo è contagioso, ognuno se ne difenda come può, ma non si dimentichi che comunque è anche un gioco», anche nel senso teatrale di jouer.
Così quelle creature deboli e immortali come Estragone e Vladimiro (e come Pozzo e Lucky), vivono in una terra desolata aspettando Godot, che non arriverà mai, vivono in un lontano e vicino (a loro e a noi) ’900 nel ricordo romantico di una Tour Eiffel, che resiste come immagine e nell’aridità di un presente che esclude loro e quelli che vorrebbero cantare, ballare, parlare, vivere. Beckett ce lo ricorda (capita qualche volta per i grandi classici) e lo fa con profonda drammaticità e spesso con sorprendente ironia. Mi conforta di avere avuto in palcoscenico attori che stimo profondamente come Antonio Salines, Luciano Virgilio, Edoardo Siravo, ma vorrei anche, alla fine delle prove, poter idealmente dedicare questa nostra fatica all’Europa della Cultura, la grande dimenticata dell’Europa che viviamo; e a quelle parole che Beckett sussurra quasi per caso: “teatro”, varietà”, “circo”».
Aspettando Godot
di Samuel Beckett
traduzione Carlo Fruttero
regia Maurizio Scaparro
personaggi e interpreti
Estragone Antonio Salines
Vladimiro Luciano Virgilio
Pozzo Edoardo Siravo
Lucky Fabrizio Bordignon
Ragazzo Gabriele Cicirello
scena Francesco Bottai
costumi Lorenzo Cutùli
luci Salvo Manganaro
aiuto regia Alice Guidi
assistente alla regia Gabriella Casali
produzione Teatro Biondo Palermo