Beni confiscati alle mafie sul litorale romano, l’associazione Reti di Giustizia torna a sollecitare i Comuni di Anzio e Nettuno affinché li riqualifichino. Anche alla luce della sentenza di ieri della Cassazione – che ha emesso condanne definitive per gli imputati del processo “Appia”, relativo agli interessi che le cosche Gallace e Novella avevano sul litorale romano – l’associazione porta all’attenzione dell’opinione pubblica l’importanza e l’interesse che la classe politica locale dovrebbe porre nei confronti della gestione, della riqualificazione e dell’utilizzo a scopi sociali dei beni immobili sequestrati. “Interesse che – sottolinea Reti di Giustizia – in questo momento riteniamo che le due amministrazioni comunali non stiano dimostrando”. L’associazione chiede di valutare la proposta, lanciata tempo fa ai comuni di Anzio e Nettuno, di approvare un “Regolamento per la destinazione e l’utilizzo di beni sequestrati o confiscati”.
“Pochi giorni fa la Corte di cassazione ha sancito la confisca definitiva di ingenti beni mobili e immobili, tra cui una villa, diversi appartamenti e uno stabilimento balneare, per il valore di 12 milioni, a Fernando Mancini, inoltre già nei mesi scorsi l’autorità giudiziaria aveva sottoposto a confisca un numero considerevole di beni, sia sul territorio di Anzio che su quello di Nettuno, riconducibili a diversi soggetti criminali che operavano sul territorio delle due città.
È di ieri la notizia che la Cassazione ha definitivamente confermato le condanne per gli imputati del processo “Appia”, relativo agli interessi che le cosche Gallace e Novella avrebbero avuto fra il 1998 e il 2004 nel territorio di Anzio e di Nettuno, una decisione, quella della suprema Corte, che certifica la presenza della ‘ndrangheta per questa fascia del litorale laziale. Questi fatti di cronaca, riportati dalla stampa locale e nazionale, mettono di nuovo le nostre comunità davanti alla presenza di forti interessi illeciti sul territorio che si manifestano con reati quali il traffico di sostanze stupefacenti, la truffa, il riciclaggio, l’evasione fiscale, la bancarotta fraudolenta, e altri, generando un ingente flusso di beni e di capitali illegalmente accumulati.
La presenza di parte di questa “ricchezza clandestina” viene spesso utilizzata dalle organizzazioni criminali per l’acquisto di beni immobili (ma anche aziende e società), in parte per reinvestire in attività legali il denaro indebitamente accumulato e in parte per dimostrare la propria presenza e sfoggiare la propria forza sul territorio. Però, nel momento della confisca definitiva, questi beni entrano a far parte del patrimonio dei comuni sui quali sorgono.
Nei comuni di Anzio e Nettuno c’è un gran numero di beni sequestrati e confiscati, sia alle mafie che alle organizzazioni criminali, dunque riteniamo sia fondamentale portare all’attenzione dell’opinione pubblica l’importanza e l’interesse che la classe politica locale dovrebbe porre nei confronti della gestione, della riqualificazione e dell’utilizzo a scopi sociali di questi beni immobili (interesse che in questo momento riteniamo non stia dimostrando), sicuramente per dare un forte segnale culturale di opposizione ai contesti “subculturali mafiosi” che spesso si insinuano anche nel tessuto civile e che a volte possono distorcere la percezione del cittadino portandolo a pensare che il modus operandi criminale sia tutto sommato un “male tollerabile” se non a volte “necessario” per lo sviluppo socio/economico, ma anche per dimostrare concretamente che un altro modo di gestire i beni pubblici, erosi dalla criminalità organizzata alla collettività, esiste ed è la strada necessaria per togliere terreno sotto i piedi delle mafie.
Riteniamo quindi doveroso sottolineare che nel novembre dello scorso anno l’associazione Reti di Giustizia – il sociale contro le mafie ha proposto ai comuni di Anzio e Nettuno l’approvazione di un “Regolamento per la destinazione e l’utilizzo di beni sequestrati o confiscati”, inviandolo rispettivamente ai due Sindaci e ai due Presidenti dei consigli comunali; purtroppo questa nostra richiesta non ha ricevuto ancora alcuna risposta concreta, nonostante sui territori dei due comuni sia stata rilevata, da più sentenze passate in giudicato, la presenza di organizzazioni di stampo mafioso e criminali ben radicate nel tessuto sociale, economico e politico del litorale, nei confronti delle quali la magistratura ha disposto, negli anni, diverse confische di beni immobili.
Speriamo che con questo nostro ulteriore invito – conclude Reti di Giustizia – si possa risvegliare la coscienza dei politici locali, i quali, a nostro avviso, devono guardare con molta più attenzione e con spirito d’iniziativa ai numerosi fenomeni mafiosi che condizionano la vita di migliaia di cittadini e di cittadine. Crediamo fermamente che un buon modo per agire, a livello culturale e sostanziale, sia proprio quello di riprenderci questi beni che sono stati rubati alla collettività e renderli di nuovo fruibili alla cittadinanza sana dei nostri due comuni”.