Il Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro di Latina, a seguito di verifiche avviate nel settembre 2020 in merito a presunti redditi di cittadinanza indebitamente richiesti da persone residenti nella provincia pontina, intraprendeva un’indagine nei confronti di una famiglia di etnia “Rom”, al fine di valutare la legittimità delle domande presentate per i propri nuclei familiari.
Gli accertamenti, nello specifico, vertevano su due domande presentate rispettivamente da DSA e DSGS (appartenenti al Clan Di Silvio), in archi temporali differenti e relativi a due distinti nuclei familiari, entrambe inoltrate all’I.N.P.S. tramite il patronato “E.N.A.C.” del capoluogo, al fine del riconoscimento del beneficio.
Gli accertamenti permettevano di acclarare che:
- DSA al momento di presentare la domanda, era sottoposta al “regime cautelare degli arresti domiciliari” con provvedimento del Tribunale di Roma nr. 27187/16 R.G.N.R. – P.M. Barbara Zuin e nr. 14817/17 R.G. G.I.P. – G.I.P. Antonella Minunni, relativo al procedimento penale della D.D.A di Roma, connesso all’operazione di polizia denominata “Alba Pontina”. In tale ambito, si verificava che nel contesto del proprio nucleo familiare, sempre in esecuzione del predetto procedimento, cinque persone erano sottoposte a misure cautelari in carcere, mentre altre quattro donne agli arresti domiciliari. Nonostante quanto sopra, l’istituto concedeva il reddito di cittadinanza dall’ottobre 2019;
- DSGS, presentava in data 20 settembre 2019, separata domanda di R.D.C. per il proprio nucleo familiare, composto dalla stessa più nr. 3 persone, fra cui il consorte detenuto in carcere, sempre nell’ambito del citato procedimento penale. Anche in questo caso, nonostante quanto sopra, l’istituto concedeva il reddito di cittadinanza dall’ottobre 2019.
Pertanto, si riscontrava che entrambe le domande di reddito, venivano avviate e concesse in frode al D.L. 28 gennaio 2019 nr. 4, coordinato con la Legge di conversione 28 marzo 2019 nr. 26, recante “disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni”, che all’art. 7, comma 1°, prevede che «salvo se il fatto non costituisca più grave reato, chiunque rende o utilizzare dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, ottenendo indebitamente il reddito di cittadinanza, è punito con la reclusione da due a sei anni».
Entrambe le richiedenti, incorrevano nel reato di evasione di ci all’art. 385 c.p., in quanto detenute al regime degli arresti domiciliari come sopra indicato, si allontanavano arbitrariamente dal luogo di restrizione, al fine di portarsi presso la sede del patronato “E.N.A.C.” di Latina per presentare le citate indebite domande finalizzate all’ottenimento del reddito di cittadinanza.