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L’avvocato dell’Aduc: “Padri separati. Una questione di genere”

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Padri separati. Una questione di genere. Il lungo intervento dell’Aduc tramite l’avvocata Claudia Moretti, legale e consulente dell’associazione di consumatori.

“Le donne e la questione di genere. Senza una bigenitorialità non ci possono essere risultati di riequilibrio fra uomini e donne.

Il tema dei padri che si separano e dell’iniquo trattamento giudiziario che spesso subiscono, affonda le proprie radici nello stesso hummus culturale che avvince la questione di genere, affrontandolo esattamente dall’altro lato della medaglia. L’esser trattato da genitore di pari valore rispetto alla madre, non è una battaglia per il solo genere maschile, di emancipazione da antichi modelli e da innegabili privilegi di ciascun genere a scapito dell’altro.

Per ragioni professionali mi trovo ancora spesso di fronte a magistrati che descrivono come “regole standard” le “collocazioni prevalenti” presso la madre, con speculari “diritti di visita” del padre ed avvocati che convincono i propri assistiti che le leggi, in vigore ormai dal 2006, in realtà non corrispondono alle concrete decisioni dei tribunali. Gli avvocati delle madri troppo spesso le guidano in rivendiche economiche non giustificate dal confronto reddituale, o peggio ancora in squilibrate battaglie per la gestione monogenitoriale dei bambini, fondate solo sul fatto di essere Le Madri. Ma esistono anche molti avvocati di padri (che magari vorrebbero finalmente fare i padri davvero), che li spaventano e li scoraggiano, costringendoli di fatto ad accettare accordi iniqui per sé e per la prole, nella convinzione che dal giudizio c’è da aspettarsi ben di peggio.

Occorre che tutti gli attori del processo cooperino affinché il cambio culturale trovi finalmente spazio. Negli studi legali prima, nelle sedi di mediazione e nei tribunali poi. Le norme già da oltre quindici anni hanno rivoluzionato la materia, non sono solo l’approdo di un indubbio vulnus che le aveva precedute prima, ma sono il punto di partenza dal quale ricostruire le relazioni interfamiliari tutte, anche nelle coppie che separate non sono. Ed in gioco non c’è solo l’equità tra i padri e le madri, quanto il modello culturale di famiglia che questi trasmetteranno ai figli. E’ indubbio che riaffermare il principio che in qualsivoglia età i bambini di genitori separati possano parimenti convivere con entrambi i genitori sebbene a turno, e possano creare con essi un autonomo nucleo familiare parimenti intimo e ricco (con il tempo di frequentazione ad esso necessario che è lo stesso per entrambi i nuclei) avrebbe (ed avrà) ripercussioni importanti per i figli e per tutta la società, con un indubbio circolo virtuoso. Per farlo, però, occorre che ogni parte in causa rinunci al proprio pezzo di radice culturale che affonda nella generazione nel quale è cresciuto. Pezzo di radice che non è fatto di sola ideologia, ma al quale è appesa anche la propria fetta di privilegio economico.

Le madri dovranno ripensare la loro condizione rispetto ai padri, rinunciando alle tesi, peraltro prive di ogni aggancio scientifico, della propria superiorità in punto di cura dei figli (maternal preference) ed accettandone a pieno la co-genitorialità, anche in merito a figli piccolissimi, con ogni conseguenza in punto di parità nelle decisioni, nei tempi di permanenza e domiciliazione. A fronte della suddetta “cessione di sovranità” si libererebbero per loro spazi mentali e temporali e potrebbero ridisegnare il proprio ruolo oltre la famiglia, favorite dal contemporaneo e speculare impiego del genere concorrente, impegnato nelle parallele funzioni paterne. Ovviamente la parità di tempo di permanenza dei figli e la domiciliazione paritaria, salvo casi di squilibrio economico intenso, favorirebbe l’applicazione del mantenimento diretto, anch’esso oggi fortemente ostacolato, talvolta per ragioni di subalternità economica pregressa (che così però si perpetua anche nella coppia

separata, finché morte non ci separi). Così facendo, trasmetterebbero un più equilibrato modello di genere alle figlie ed ai figli: in casa si sta con entrambi, perché entrambi lavorano, entrambi si occupano delle questioni di cura domestica.

I padri

dovranno interrogarsi a fondo su come vivano davvero la propria paternità. Se si sentano o meno genitore alfa o genitore beta. Se intendano perpetrare o meno un mal celato “complesso di inferiorità” rispetto alle ex compagne su come gestir bene la prole. Se, come molti padri che li hanno preceduti, percepiscano il proprio ruolo genitoriale quale contribuente economico (per carità, meglio di niente) o se invece vogliano vivere da protagonista tutti gli oneri ed onori dell’esperienza genitoriale. Se – come come accade per molti padri moderni – intendono far parte di ogni aspetto della vita dei figli, dovranno rinunciare al tempo che prima avevano grazie alla precedente divisione dei ruoli e sobbarcarsi gli impegni materiali e relazionali che ciò comporta. Accettarne anche le gravose conseguenze organizzative sul piano lavorativo e sperimentare la difficile conciliazione tempi di famiglia con lavoro, di cui troppo spesso si fanno carico solo le madri. Così facendo, però, potranno vantare una reale autonomia genitoriale, uscire dall’ombra dell’altro, rivendicare, se del caso e a buon diritto, che ognuno mantenga direttamente i figli nel pari tempo in cui vi convive. Così facendo, ancora, offrirebbero ai figli (tanto più se maschi) quel modello virtuoso di padre e di genitore che si occupa a tutto tondo di lui, senza discriminazione di genere alcuna.

I figli

il cui bene è al vertice della piramide, dovranno rinunciare alla comodità di una casa sola e riadattarsi alla doppia famiglia. Pur nel panorama di una normalità statistica, ogni fase di passaggio è impegnativa ma, nella resilienza tipica dei più piccoli, si ritroveranno, forse per la prima volta, con due genitori pieni, non eclissati l’uno dalla presenza dell’altro. Soprattutto guarderanno al proprio futuro con modelli culturali nuovi, che non li ingabbiano in steriotipi di genere, troppo spesso angusti ed insinceri. E forse saranno le loro esperienze a portare al cambiamento effettivo di genere, promuovendo riforme di riequilibrio che fondano finalmente la consapevolezza politica ed economica di cosa significhi esser genitore pieno.

Agli avvocati, mediatori, consulenti rimane il compito di favorire percorsi che rispettino le norme e guidino le aspirazioni verso il compimento dei pari doveri e pari responsabilità.

Ai magistrati

il compito di cominciare finalmente ad attuare a pieno queste norme, rinunciando ad avallare prassi ante litteram che favoriscano lo status quo, invocando impropriamente il “bene dei bambini”. Del resto non si inventa nulla, nei Paesi del nord Europa la equa spartizione dei tempi con i figli è una solida realtà da tempo, con risultati di genere evidenti a tutti”.

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