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Riciclaggio e frode fiscale per agevolare il clan camorristico dei Casalesi: scattano 8 ordinanze di custodia cautelare.

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Riciclaggio, frode fiscale ed intestazione fittizia di beni, aggravati dalla finalità di agevolare il clan camorristico dei Casalesi, noto per avere ramificazioni anche nel basso Lazio, in  particolar modo in provincia di Latina: con queste accuse il Gip del Tribunale di Napoli ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 8 persone gravemente indiziate di appartenere all’organizzazione; ad eseguire i provvedimenti cautelari, questa mattina all’alba, – su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia – sono stati i finanzieri del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria di Roma, con il supporto del Comando Provinciale della Finanza di Caserta. Imputato un gruppo di imprenditori, con base organizzativa in provincia di Caserta. Per due di loro, che avrebbero diretto e organizzato l’attività del sodalizio, è stata disposta la custodia cautelare in carcere; per gli altri 6 indagati, invece, sono stati disposti i domiciliari.

“Il provvedimento restrittivo – si legge nella nota della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Napoli – scaturisce da un’indagine che ha raccolto elementi probatori a carico di un gruppo di imprenditori, con base organizzativa in provincia di Caserta, dedito in modo sistematico alla commissione di reati tributari.

Attraverso una società di gestione e smaltimento di rifiuti fittiziamente intestata a un “prestanome” ma, di fatto, riconducibile ad una compagine familiare vicina ad ambienti camorristici del clan dei Casalesi, gli ingenti flussi finanziari originati dalle attività illecite, venivano successivamente riciclati attraverso una rete di persone fisiche e giuridiche accomunate da una medesima regia.

L’impresa di smaltimento dei rifiuti, già nel passato destinataria di provvedimenti interdittivi antimafia per la presenza di un socio esponente di spicco del clan dei Casalesi, avrebbe continuato ad operare, attraverso una nuova compagine, nell’interesse del clan.

La linea di continuità gestionale e imprenditoriale tra la vecchia compagine societaria e l’attuale avrebbe garantito all’organizzazione criminale di poter continuare a disporre di una delle sue articolazioni imprenditoriali, in sostanziale elusione delle interdittive adottate dall’autorità prefettizia.

Nel corso delle indagini è emerso che la società di smaltimento rifiuti avrebbe ricevuto ed utilizzato numerose fatture per operazioni inesistenti, che hanno consentito di generare costi fittizi e al tempo stesso far fuoriuscire gli utili aziendali attraverso un imponente sistema di riciclaggio.

Attraverso l’operato di diversi soggetti, ciascuno con ruoli ben definiti, sarebbero state poste in essere anomale movimentazioni finanziarie, collegate alle fatturazioni per operazioni inesistenti emesse da società di comodo/cartiere, finalizzate a far confluire su conti correnti bancari e postali somme di denaro che poi venivano trasferite anche all’estero (in Bulgaria, Regno Unito, Polonia, Germania, Belgio, Lituania) o prelevate in contanti, rendendo difficile l’individuazione della destinazione finale.

Le indagini tecniche e di tipo bancario hanno comunque consentito di appurare il rimpatrio di buona parte dei capitali di verosimile provenienza illecita, attraverso movimentazioni di denaro contante.

Nei confronti dei due soggetti che hanno diretto e organizzato l’attività del sodalizio è stata disposta la custodia cautelare in carcere, mentre gli altri sei indagati sono stati posti agli arresti domiciliari.

È stato altresì disposto dal GIP, su richiesta della DDA, il sequestro preventivo, anche per equivalente, di disponibilità finanziarie, beni mobili e immobili, per oltre 11 milioni di euro, oltre alla totalità delle quote di partecipazione al capitale sociale e dei complessi aziendali di sei società.

Il provvedimento eseguito è una misura cautelare disposta in sede di indagini preliminari, avverso cui sono ammessi mezzi di impugnazione ed i destinatari dello stesso sono persone sottoposte alle indagini e, quindi, presunte innocenti fino a sentenza definitiva”.

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