Tenta di strangolare un agente di Polizia Penitenziaria che lo stava riportando in cella. Un ennesimo episodio violento si è consumato ieri pomeriggio all’interno del carcere di Velletri, nel Reparto Articolazione Salute Mentale. Protagonista della grave aggressione, un detenuto psichiatrico che era stato da poche ore trasferito da Roma Rebibbia per tentata evasione.
Il fatto è accaduto nel primo pomeriggio, durante l’ora di chiusura dei detenuti all’interno delle loro celle. L’aggressore ha sorpreso alle spalle il poliziotto, afferrandolo per il collo, nel tentativo di strangolarlo. Grazie all’intervento degli altri agenti si è evitato il peggio.
La notizia è stata resa nota da Maurizio Somma, segretario nazionale per il Lazio del SAPPE: “Solo grazie all’intervento repentino degli altri agenti si è evitato il peggio, – racconta Somma ma è stato comunque necessario il trasporto in ospedale del collega aggredito e di due agenti intervenuti che, durante la colluttazione, hanno riportato delle lesioni. Non si conosce ancora la prognosi dei tre agenti trattenuti in ospedale; è grande, però, lo sconcerto per la gravità dei fatti che si perpetuano quasi quotidianamente sul personale ormai costretto a lavorare in condizioni di estremo disagio”.
“Siamo alla follia: adesso siamo arrivati al punto che i detenuti sfasciano letteralmente le carceri e aggrediscono Agenti come se fosse un passatempo!”. Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, solidarizza con i colleghi feriti e con il Reparto di Polizia in servizio a Velletri mette sotto accusa tutti coloro che tendono sempre a sminuire i gravi fatti che accadono nelle carceri.
“Per loro, nelle carceri italiane non succede mai nulla, sarebbero tutte ‘ragazzate’. – commenta Capece – Non vedono le risse, i ferimenti e le colluttazioni in cui spessissimo a subire è il personale di Polizia Penitenziaria. Difendono Caino a scapito di Abele.
Ignorano o fingono di ignorare – conclude – il duro e difficile lavoro del poliziotto penitenziario, svolto da donne e uomini che pressoché quotidianamente hanno a che fare con detenuti che mettono a repentaglio l’ordine e la sicurezza della sezione detentiva, che si confrontano a detenuti con in mano una o più lamette intrise di sangue, o con una padella piena di olio bollente tra le mani pronta per essere buttata in faccia all’operatore, o con un piede di tavolino in mano pronto ad essere scagliato contro un poliziotto”.